Diventare Pirandello by Annamaria Andreoli

Diventare Pirandello by Annamaria Andreoli

autore:Annamaria Andreoli [Andreoli, Annamaria]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2020-07-17T12:00:00+00:00


Magari non ha niente da spartire con la realtà questo marito sulle spine; spine tuttavia acuminate in un appartamento di «via Sistina», dove appunto i nostri coniugi abitano. Roma è grande, e non sarebbe stato difficile scegliere un indirizzo diverso in cui alloggiare l’aborrita moglie «inesperta, inetta a tutto», che «spendeva enormemente per gli abiti, dei quali alla fine restava sempre scontenta». Coincidenza in più da sommare all’indirizzo: Antonietta si lagna proprio ora, con la cognata, della sarta incapace. Le ha scritto: «chi assai spende, meno spende. La veste, Lina mia, la sarta me l’ha rovinata… Adesso ho fatto venire un’altra sarta. Beati voialtri che fate le cose sennate» (8 marzo 1898).

Non combacia, invece, con Luigi il marito della novella (si intitola La balia, e Marco Bellocchio ne trarrà un pregevole film). A parte qualche rattenuto scatto d’insofferenza, qualche rabbuffo a mezza bocca, la vittima di un’autentica arpia si stringe nelle spalle sopportando in silenzio sgarbi e vessazioni. Del resto, per quanto si rovisti, nessuna fra le carte dello scrittojo tratteggia liti feroci fra coniugi. Liti che si verificano nella realtà, tanto manesche e urlate da farsi udire, fin laggiù, dal parentado siciliano; e fin lassù, da quello piemontese.

A Torino, le vigili antenne di Lina captano infatti l’eccesso del malumore proveniente dalla casa del fratello, dove tutti sono colpiti dall’influenza, serva e balia incluse. Un bel guaio, d’accordo, che però non giustifica la reazione di Luigi: «io sono stato parecchie volte sul punto di aprire una finestra e buttarmi capofitto sulla strada». Il suicidio, nientemeno, per l’influenza?

Altro che influenza. In questi stessi giorni – i primi di febbraio – Antonietta ha chiesto aiuto al padre: subito, venga subito a prenderla per riportarla in Sicilia. Non vuole più saperne del marito. Don Calogero è piombato sul consuocero brandendo fra le imprecazioni la lettera della figlia esasperata dai maltrattamenti. Mamma Caterina si dispera (a proposito della nuora rimarca: «tra lei e noi barriere insormontabili»), mentre Annetta, alla vista del Portolano («quel brutto ceffo», «essere vile e rettile, che coglie l’occasione per mettere fuori il veleno»), viene colpita «da uno dei suoi soliti attacchi nervosi»: «mi scoppia» scrive a Lina «un mal di testa furente, gli occhi mi girano nell’orbita in modo da fare spavento – resto col corpo inerte, come paralizzata». Paralisi che dura vari giorni. A Roma la lite è esplosa.

Spalle al muro, Luigi ammette di aver minacciato la moglie: «ti butto dalla finestra!». Ma non era lui a volersi buttare «capofitto sulla strada»? Anche, forse, nell’eccesso dell’ira che ora è chiamato a giustificare. Il via vai delle lettere lo inchioda a responsabilità che lui prova a respingere, comunque non senza imbarazzo nel calcare la mano sulle cause di tanto furore. È vero: ha perduto il dominio di sé. È vero: Antonietta gli ha strappato di bocca «termini vivaci».

Con il padre, che gliene chiede conto, vuota finalmente il sacco non senza premettere che responsabile di ciò che accade è, all’origine, proprio don Stefano. Per obbedirgli lui si è piegato al matrimonio «commerciale», voluto dal «commerciante».



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